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Il Centro Mente Corpo illustra i metodi con cui poter affrontare i traumi post terremoto

Quali sono i possibili effetti psicologici di un terremoto? 

Dopo un terremoto, le persone possono manifestare diverse reazioni. Conoscerle è utile, perché ci dà un parametro per capire che alcuni comportamenti sono del tutto normali, mentre altri devono piuttosto essere considerati patologici.

Il principale disturbo psicologico in seguito ad un evento sismico è il “trauma”. Il significato della parola “trauma” – dal latino Tràuma, dal greco Trayma -, ferita o lesione prodotta da cause esterne, ci introduce al concetto di qualcosa che lede l’integrità della persona, sia a livello fisico che psicologico e che ne altera lo stato.

Il trauma che un terremoto crea intacca qualcosa di profondo, qualcosa che è legato all’identità delle persone, alle certezze di una vita, a una quotidianità che non esiste più, all’incertezza sul futuro. Le crepe nelle case e negli edifici hanno moltissime similitudini con le crepe create all’interno delle persone.

Un Trauma Psicologico è un’intensa reazione psicologica d’impotenza, di paura intensa o di orrore conseguente all’essere stati parte di un evento che ha implicato morte, minaccia di morte, gravi lesioni o comunque una minaccia all’integrità fisica propria o di altre persone.

In questo tipo di situazione, la risposta a un evento traumatico è di enorme stress; l’individuo si trova a dover fronteggiare una situazione inattesa, dolorosa, faticosa e drammaticamente nuova, senza essere preparato e con tutte le difficoltà intrinseche in una condizione non voluta.

Tutte le persone sopravvissute a un terremoto restano traumatizzate?

La risposta è No! Come la pelle è preparata a guarire da sola quando ci si taglia, allo stesso modo noi siamo preparati “a guarire” da soli dalle esperienze potenzialmente traumatiche.
Sebbene nella maggior parte dei casi la guarigione avvenga automaticamente, a volte capita che le ferite non tornino a posto come prima, o peggio, s’infettino.

Come sapere se stiamo subendo gli esiti negativi di un Trauma Psicologico?

La condizione di stress che si crea in una persona è, in un primo momento, di fronte ad un evento catastrofico, normale e fisiologica. Il nostro organismo necessita di una riorganizzazione, sia in termini fisiologici che psicologici, e lo stress ci aiuta in questo, sollecitando l’attivazione di tutta una serie di azioni volte a ripristinare la condizione iniziale.

Questa fase, che prende il nome di Disturbo Acuto da Stress e vede le persone rispondere con paura intensa, sentimenti d’impotenza o di orrore.

A volte, tuttavia, le esperienze traumatiche non hanno segni immediati, ma si possono manifestare anche a distanza di settimane o mesi dall’evento e qualora non avvenga il normale processo di elaborazione cerebrale del trauma.

Gli individui si trovano a dover gestire una nuova routine fatta di tempi, oggetti e spazi che sono diversi da quelli di “prima”; la vita, la nostra e quella degli altri intorno a noi, è ora divisa in due, c’era un “prima” e ora c’è un “dopo” il terremoto.

L’adattamento è un percorso e allo stesso tempo un obiettivo degli individui, talvolta è favorito da situazioni sorte spontaneamente, altre volte deve essere incoraggiato e supportato da professionisti.

È in ogni momento del processo di adattamento che può avvenire un evento che devia il corretto percorso di risoluzione e portare a una delle conseguenze più temute nei casi di catastrofe naturale, il Disturbo Post Traumatico da Stress.

La letteratura (Molteni, 2009) riporta che dopo una catastrofe naturale come un terremoto, l’incidenza del Disturbo Post Traumatico da Stress è del 11%.

In questo caso evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi:

  1. ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni.
  2. Sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento.
  3. Agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di intossicazione).
  4. Disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
  5. Reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
  6. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale (non presenti prima del trauma
  7. Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma);

I bambini, gli adolescenti e il terremoto

I bambini sono un gruppo ad alto rischio, perché hanno meno risorse per affrontare pensieri ed emozioni derivanti dalla catastrofe vissuta. In particolare, nei bambini da 1 a 5 anni possono manifestarsi sintomi come:

Paura di separarsi dai genitori

Paure varie: degli stranieri, dei mostri, di certi animali ecc.

Disturbi del sonno

Quelli tra i 6 e gli 11 anni possono raccontare ripetutamente, tramite la narrazione o il gioco, parti del disastro: è una loro strategia per gestire l’ansia ed elaborare quanto avvenuto.

Più in generale, alcuni comportamenti di molti bambini in seguito a un terremoto possono essere:

Problemi del sonno

Paura del buio

irritabilità

comportamenti aggressivi

Ansia di separazione

Rifiuto di andare a scuola

Cambiamenti generali in atteggiamenti, comportamenti e nell’umore

Negli adolescenti, invece, possono manifestarsi segni e sintomi più simili a quelli dell’adulto. In particolare, più avanti nel tempo possono manifestare irritabilità, alti livelli di aggressione e atteggiamenti di sfida.

Il consiglio, nel momento in cui certi cambiamenti ci sembrano perdurare o anche nel momento in cui non ci si dovesse sentire in grado di aiutarli o semplicemente per avere preziose informazioni pratiche, è quello di chiedere informazioni a degli psicologi.

Cosa si può fare in questi casi?

In questi casi è opportuno l’intervento ambulatoriale contattando uno psicoterapeuta specializzato in psicotraumatologia. La Terapia Cognitivo Comportamentale è ad oggi la strategia terapeutica di maggiore e documentata efficacia nella cura dei traumi. In particolare tra gli approcci utilizzati nella psicotraumatologia vi è l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing). L’EMDR è un approccio specifico incaricato di risolvere il ”Disturbo Post Traumatico da Stress” focalizzandosi esclusivamente sul ricordo dell’esperienza traumatica.

L’EMDR vede la patologia come informazione immagazzinata in modo non funzionale e si basa sull’ipotesi che c’è una componente fisiologica in ogni disturbo o disagio psicologico.

I movimenti oculari saccadici (movimento rapido e volontario dell’occhio, da destra a sinistra) e ritmici abbinati con l’immagine traumatica, con le convinzioni negative a essa legate e con il disagio emotivo, facilitano la rielaborazione dell’informazione fino alla risoluzione dei condizionamenti emotivi.

Nel 1995 il Dipartimento di Psicologia Clinica dell’American Psychological Association ha condotto una ricerca per definire il grado di efficacia di questo metodo terapeutico, concludendo che l’EMDR è non solo efficace nel trattamento del Disturbo da Stress Post Traumatico, ma che ha addirittura l’indice di efficacia più alto per questa categoria diagnostica.

Il Centro Mente Corpo è in via G. Matteotti 59, a Grottammare.

Contatti: Dott. Marco Forti: 340/3496867, Dott.ssa Marilena De Angelis: 347/0632444     

Sito web: www.psicologosanbenedettodeltronto.it

Quando l’ansia diventa un problema

Molti di noi, durante il corso della vita, hanno sperimentato l’esperienza di vivere uno stato d’ansia. Il Centro Mente Corpo ci spiega qualcosa in più in merito.

L’ansia e’ uno stato emotivo caratteristico dell’uomo ed è generata da un meccanismo psicologico di risposta allo stress. Questo svolge la funzione di anticipare la percezione di un eventuale pericolo prima ancora che quest’ultimo sia realmente sopraggiunto. L’ansia svolge pertanto innanzitutto una funzione protettiva nella nostra vita e si attiva quando una situazione viene percepita come pericolosa.  L’ansia, oltre ad essere un’emozione, è un potente meccanismo difensivo volto ad avvertirci di potenziali pericoli, presenti e non, così da mettere l’individuo nelle condizioni di affrontarli nel migliore dei modi e di salvaguardare così la propria incolumità psico-fisica.

I sintomi che ci indicano che siamo in presenza di uno stato d’ansia sono diversi e possono essere sia cognitivi che corporei:

Sintomi cognitivi:

  • difficoltà di concentrazione
  • difficoltà ad addormentarsi o ad avere un sonno sereno
  • sensazione di nervosismo
  • tendenza all’irritabilità
  • tendenza ad un atteggiamento apprensivo
  • risposte esagerate di allarme
  • paura di morire
  • paura di perdere il controllo e di non riuscire ad affrontare le situazioni

Sintomi corporei:

  • sensazione di soffocamento
  • tachicardia
  • sudorazione
  • nausea, diarrea o altri disturbi addominali
  • vampate di calore, o brividi
  • tremori
  • vertigini
  • tensioni muscolari
  • agitazione motoria

Quando l’attivazione dell’ansia è eccessiva, ingiustificata o sproporzionata rispetto alle reali situazioni, siamo di fronte ad un disturbo d’ansia, che può complicare notevolmente la vita di una persona e renderla incapace di affrontare anche le più comuni situazioni.

Esistono due condizioni in cui l’ansia diventa patologica:

  1. Quando la risposta ansiosa e’ esagerata e disfunzionale rispetto agli stimoli che l’hanno indotta e l’individuo ne e’ consapevole. Lo stato ansioso si manifesta in maniera costante, disturbando la persona durante tutto l’arco della giornata con i sintomi già descritti. Potremmo definire l’ansia patologica come una risposta ansiosa “sproporzionata” rispetto alla “reale” pericolosità dell’oggetto che la scatena, pericolosità ovviamente stabilita in termini soggettivi.
  2. Quando lo stato ansioso compare in assenza di uno stimolo scatenante.

Assumere la consapevolezza di trovarsi davanti a una situazione di ansia patologica è il primo passo per poterla affrontare

Chi si rivolge allo psicologo per affrontare problemi di ansia e panico molte volte ha già alle sue spalle un iter medico travagliato, fatto da iniziali richieste di aiuto nei centri di pronto soccorso, per poi approdare alla consulenza di neurologi e cardiologi.

L’unico modo per risolvere alla radice l’ ansia patologica è quello dell’intervento psicologico che, per sua natura, mira all’individuazione e alla rimozione definitiva delle cause reali del disturbo. Se infatti decidiamo di intraprendere esclusivamente un percorso psicofarmacologico, sarà chiara la riduzione della sintomatologia, ma con un effetto temporaneo (legato cioè al tempo di assunzione del farmaco) e non vi sarà individuazione né rimozione della causa primigenia dell’ansia. Se invece all’intervento farmacologico viene abbinato quello di tipo psicologico, ecco che, agendo sull’insieme dei sintomi, è possibile proseguire con maggiore facilità alla scoperta e risoluzione dell’eziologia dell’ansia.

Il problema fondamentale che per anni ha allontanato dall’ambito della psicologia le persone interessate ad una maggiore conoscenza di sé, finalizzata al cambiamento, è il fatto di considerarla esclusivamente affine all’area di intervento medico-psichiatrica, con l’effetto di una “medicalizzazione” della psicologia: l’ansia per anni è stata soltanto un disturbo da curare.

In realtà c’è un lavoro differente che va fatto sull’individuo in termini di psicoeducazione, prevenzione, promozione del benessere e soprattutto di attivazione delle risorse.

Un intervento combinato con una psicoterapia, in particolar modo con la terapia cognitivo comportamentale, consente attraverso la concettualizzazione cognitiva, di individuare fattori predisponenti, scatenanti e di mantenimento.

l Centro Mente Corpo è in via G. Matteotti 59, a Grottammare.

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Il Centro Mente Corpo ci spiega il perché delle diete che falliscono

“Basta, da lunedì mi metto a dieta!”, “Da domani dieta ferrea e palestra…e questa sarà la volta buona che dimagrisco!”.

Alzi la mano chi tra di voi non ha mai pronunciato frasi di questo tipo per poi ritrovarsi, sempre nella medesima situazione: intraprendere una dieta dimagrante restrittiva, perdere peso, riuscire a mantenere il peso forma per un certo periodo di tempo per poi ritrovarsi nuovamente a “cedere” alla passione del cibo, riprendere tutti i chili persi con tanto sacrificio?

Negli ultimi anni lo stile alimentare degli italiani ha subito delle variazioni drastiche. La dieta mediterranea è stata soppiantata in molti casi dai cibi pronti e da alimenti tipici di altre culture.

Le cause di tali cambiamenti possono essere molteplici, ma la maggior parte di esse sembra essere legata al cambiamento dello stile di vita conseguente allo sviluppo economico. Lo sviluppo economico ha richiesto infatti l’intensificazione dei turni lavorativi i quali hanno profondamente segnato le abitudini di vita delle nuove generazioni. In molti casi ci si ritrova a consumare pasti veloci e, nel caso in cui si riesca a pranzare a casa, si preferisce optare per cibi precotti o congelati in grado di ridurre drasticamente i tempi di preparazione.

Tuttavia il consumo di cibi pronti unito a uno stile di vita sempre più sedentario ha avuto conseguenze negative sull’aumento di peso. Si stima che in Italia circa il 34,2% della popolazione sia attualmente in sovrappeso e che quasi un italiano su dieci (il 9,8%) sia obeso.

Ciò spinge ogni giorno molte persone a intraprendere percorsi di dimagrimento i quali però, in molti casi, danno risultati scarsi o poco duraturi nel tempo. Perché?

Quando si inizia un percorso di dimagrimento la motivazione è di solito molto alta. Ci si aspetta di perdere peso in maniera rapida, continua e di poter poi tornare ai ritmi di vita precedenti. Spesso però le diete richiedono sacrifici in termini economici (visite di controllo e acquisto degli alimenti), temporali (preparazione degli alimenti) e personali (attenersi alla dieta), che in molti casi le persone non sono disposti a fare per periodi di tempo molto lunghi.

Durante le prime settimane il calo di peso è di solito abbastanza elevato e ciò motiva le persone a impegnarsi e ad andare avanti. Durante le settimane successive però, quando il calo di peso si riduce e gli sforzi per resistere alle tentazioni aumentano, può verificarsi una riduzione della motivazione iniziale e la persona può arrivare a cedere all’impulso di tornare allo stile alimentare precedente.

In altri casi, le persone riescono a raggiungere la fine del percorso di dimagrimento, ma poi non seguono la dieta di mantenimento e ritornano allo stile alimentare precedente.

Ciò può portare un incremento di peso uguale o maggiore a quello di partenza e incidere pesantemente sull’autostima.

Sentimenti d’inadeguatezza, di fallimento e di tristezza possono associarsi all’aumento di peso e rendere l’inizio di una nuova dieta sempre più difficoltoso.

Molte persone in sovrappeso tendono a confondere la fame con il desiderio di mangiare, hanno una bassa tolleranza della fame e delle smanie di cibo, amano la sensazione di sazietà, non sono consapevoli delle quantità di cibo ingerite, si consolano col cibo, si sentono senza speranza quando ingrassano, pensano che il mondo sia ingiusto, perché altre persone mangiano senza ingrassare, interrompono la dieta dopo un primo periodo di dimagrimento.

Come può essere meglio procedere?

Quando si decide d’intraprendere un percorso di dimagrimento è necessario, in primo luogo, rivolgersi a un medico specializzato in nutrizione o dietologia.

Un cambiamento importante però è anche quello legato allo stile di vita in generale. Non si può infatti pensare di mantenere un adeguato peso corporeo se si ritorna allo stile di vita precedente. Ciò che deve cambiare dunque è principalmente il modo di concepire l’alimentazione e l’attività fisica.

Tuttavia, questo tipo di cambiamento richiede spesso una modifica del proprio modo di pensare e può dunque risultare difficoltoso. La consulenza psicologica può essere utile per aiutare le persone a dieta a cambiare il proprio modo di pensare il cibo e offrire, allo stesso tempo, un supporto per mantenere costante la motivazione durante tutto il percorso di dimagrimento.

Esistono alcune tecniche molto efficaci in grado di garantire una maggiore stabilità dei risultati conseguiti attraverso la dieta. Uno dei metodi più utilizzati è il metodo “Beck”, ideato da Judith S. Beck. Lo scopo di questo metodo è quello di favorire una maggiore consapevolezza dei segnali provenienti dal nostro corpo, imparando a distinguere le smanie di cibo dalla fame, aumentare la propria capacità di resistere alle tentazioni, mantenere costante la motivazione, impegnarsi a intraprendere uno stile di vita salutare.

L’obiettivo finale è dunque quello di aiutare le persone in sovrappeso a pensare come le persone magre. Il modo di pensare al cibo e alla dieta può infatti influenzare il comportamento e il modo in cui ci si sente.

Durante le prime settimane al paziente vengono assegnati dei compiti in grado di aiutarlo a prepararsi per la dieta. Ciò significa che è possibile consultare lo psicoterapeuta ancora prima d’iniziare il percorso di dimagrimento vero e proprio. La dieta vera e propria va iniziata infatti entro la terza settimana. Successivamente s’impara a combattere i pensieri sabotanti e a gestire gli imprevisti, poi ci si focalizza sull’aumento dell’autostima e sul perfezionamento delle abilità acquisite.

La combinazione della consulenza psicologica e di quella nutrizionale offrono risultati maggiori e più stabili nel corso del tempo. Benché tutte le persone possano decidere di seguire questo percorso è necessario considerare che alcune problematiche di salute, o cause di natura diversa, possono comunque rallentare o alterare l’esito del percorso.

La consulenza nutrizionale è il prerequisito fondamentale per un’adeguata perdita di peso, in quanto è in tale contesto che, dopo un’accurata visita medica, viene fornita la dieta più adeguata da seguire.

La consulenza psicologica da sola, infatti, non può garantire la perdita di peso e deve necessariamente essere abbinata a una dieta equilibrata e all’attività fisica. Il metodo Beck è basato sull’approccio cognitivo-comportamentale e, pertanto, viene utilizzato solo dai terapeuti aderenti a tale modello. In ogni caso, psicologi di altre correnti potrebbero comunque offrire metodi alternativi altrettanto validi.

Il Centro Mente Corpo è in via G. Matteotti 59, a Grottammare.

Contatti: Dott. Marco Forti: 340/3496867, Dott.ssa Marilena De Angelis: 347/0632444

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Depressione e festività. Perché?

Non sempre l’aria di festa, di allegria e di famiglia viene vissuta con spirito gioioso e, spesso, le persone si trovano a fare i conti con sensazioni interiori di tristezza e solitudine, di ansia e senso di soffocamento. Tali sono le risposte emotive ad un clima di forzata ed imposta felicità.

Il dato sulle richieste d’aiuto agli specialisti parla chiaro: un aumento di circa un quarto del numero delle persone che si rivolgono a Psicologi o Psicoterapeuti per ricevere ascolto e sostegno sul malessere psichico durante le festività natalizie.

Gli argomenti che i pazienti portano in psicoterapia le settimane che precedono le feste vedono in modo significativo la prevalenza di una miscellanea di emozioni che spaziano dalla depressione all’ansia.

Ma cosa vuol dire provare ‘disagio’ durante una festa che, nell’ immaginario di tutti, viene facilmente abbinata a stati di gioia, felicità, affetto, calore familiare e serenità? In primo luogo è importante riflettere sul fatto che, trattandosi di una festa ‘comandata’ fissa, avviene nello stesso periodo per tutti, ma non tutti sono nelle stesse condizioni emotive per viverla allo stesso modo.

C’è chi il Natale non lo sopporta proprio. Le luci, l’albero, i regali, ma soprattutto l’organizzazione, i pranzi, le cene, i parenti, anziché dare gioia e felicità contribuiscono ad alimentare tristezza e malinconia, in maniera del tutto incontrollata.

È la festa emblema della famiglia, quindi il disagio aumenta se si vive una situazione in casa dolorosa, traumatica o inesistente. E se si è persa una persona cara.

Più in generale in prossimità delle feste alcune persone percepiscono la propria condizione sotto un’ottica più pessimistica, con conseguenze sullo stato fisico ed emotivo, spesso rimanendo ignari di quale sia la causa reale del proprio disagio, che rimane incompreso da se stessi e soprattutto dagli altri.

Riguarda poi principalmente gli adulti o i giovani/adulti, perché se c’è un senso di fallimento nella vita emerge proprio in queste giornate, in cui bisogna fare i conti con i bilanci di fine anno.
A questa insofferenza che si manifesta in un particolare periodo dell’anno gli esperti hanno dato un nome e una connotazione: Christmas Blues, la “depressione natalizia”.

“La principale manifestazione del Christmas Blues è l’anedonia, un’incapacità di trarre piacere dalle celebrazioni”.

Ciò ci fa rendere conto di quanto noi tendiamo a subire i significati proposti dalla cultura in cui siamo inseriti, senza poterci permettere una nostra personale elaborazione.

E’ importantissimo cogliere le proprie emozioni. Darsi il tempo per capire e riflettere senza mai sottovalutare il disagio che si prova, chiedere aiuto ad uno specialista che con le sue competenze permette di entrare maggiormente a contatto con sé stessi significa darsi una grande opportunità: significa potersi liberare di certi stati d’animo sgradevoli e opprimenti per poter ridimensionare o eliminare certi vissuti di depressione e angoscia e per poter vivere meglio e più liberamente, anche il Natale.

Il Centro Mente Corpo è in via G. Matteotti 59, a Grottammare.

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Il Centro Mente Corpo ci spiega cos’è la dipendenza affettiva

Una premessa è d’obbligo quando si parla di dipendenza affettiva: ognuno di noi è dipendente in qualche misura dagli altri, tutti noi abbiamo bisogno di approvazione, empatia, di conferme e ammirazione da parte degli altri, per sostenerci e per regolare la nostra autostima.

La vera indipendenza non è né possibile né auspicabile. Ma la dipendenza affettiva può raggiungere una forma così estrema da diventare patologica.

Cos’è la dipendenza affettiva?

La dipendenza affettiva è una condizione relazionale negativa caratterizzata da una assenza cronica di reciprocità nella vita affettiva e nelle sue manifestazioni all’interno della coppia, che tende a stressare e a creare nei “donatori d’amore a senso unico”, malessere psicologico o fisico piuttosto che benessere e serenità.

Una prima caratteristica della dipendenza affettiva e’ la difficoltà a riconoscere i propri bisogni e la tendenza a subordinarli ai bisogni dell’altro.

L’amare l’altro diventa spesso una forma di sofferenza; troppa energia vitale è impiegata nell’amare o nel ricevere amore e approvazione, poca ne rimane per attività autodeterminate.

Le persone che ne sono affette, soffrono di un profondo senso di inadeguatezza. Sono convinte che per essere amate devono sempre essere diligenti, amabili, sacrificarsi per l’altro per poter ricevere il suo amore. Anche quando questo vuol dire farsi male. Queste persone ritengono che occupandosi sempre dell’altro la loro relazione diventi stabile e duratura.

Gli affetti che comportano paura e dipendenza, tipici della dipendenza affettiva, sono invece destinati a distruggere l’amore.

Ma è proprio vero amore?

La Dott.ssa Norwood nel suo libro “Donne che amano troppo” risponde con molta chiarezza a questa domanda:

Se mai vi è capitato di essere ossessionate da un uomo, forse vi è venuto il sospetto che alla radice della vostra ossessione non ci fosse l’amore, ma la paura; noi che amiamo in modo ossessivo siamo piene di paura: paura di restare sole, paura di non essere degne di amore e di considerazione, paura di essere ignorate, o abbandonate, o annichilite. Offriamo il nostro amore con la speranza assurda che l’uomo della nostra ossessione ci protegga dalle nostre paure; invece le paure e le ossessioni si approfondiscono, finché offrire amore nella speranza di essere ricambiate diventa la costante di tutta la nostra vita. E, poiché la nostra strategia non funziona, riproviamo, amiamo ancora di più. Amiamo troppo.”

Due caratteristiche epidemiologiche importanti della dipendenza affettiva sono:

  • l’alta incidenza nella popolazione femminile, al punto da stimare che il fenomeno sia al 99% diffuso in questa fetta della popolazione (Miller, 1994)
  • la tendenza ad associarsi a disturbi post-traumatici da stress, per cui in genere questa forma di dipendenza si osserva in persone che hanno anche vissuto abusi o maltrattamenti, un aspetto che fa pensare che siano stati tali eventi a far sviluppare forme affettive dipendenti

La buona notizia è che la dipendenza affettiva può essere superata.

Tre passi per superare la dipendenza affettiva:

1. Riconoscere l’esistenza del problema. Può sembrare una banalità, ma la verità è che normalmente tendiamo a mentire perché in questo modo tutto diventa più facile . Noi pensiamo che se ci nascondiamo il problema non esista. Quindi il primo passo per superare la dipendenza affettiva è identificarla.

2. Cercare l’aiuto di un valido psicoterapeuta.

3. Considerare la propria salute e il proprio benessere una priorità su tutto il resto.

Il Centro Mente Corpo è in via G. Matteotti 59, a Grottammare.

Contatti: Dott. Marco Forti: 340/3496867, Dott.ssa Marilena De Angelis: 347/0632444

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Centro Mente Corpo: studio di Psicoterapia, Psicologia e Sessuologia

Il Centro Mente Corpo si occupa di Psicoterapia, Psicologia, EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) e Sessuologia.

Il sessuologo clinico è riconosciuto come la figura professionale capace ed esperta a cui rivolgersi in caso di problematiche che riguardano la sfera della propria sessualità e in grado in intervenire sulle diverse disfunzionalità che possono ostacolare o rendere difficile una piena espressione della propria vita sessuale.

Il sessuologo è prima di tutto uno psicologo e psicoterapeuta con normale competenza nel condurre un intervento psicologico tradizionale, che ha acquisito una specializzazione nella diagnosi e il trattamento delle problematiche sessuali maschili e femminili attraverso le tecniche e il sapere della scienza sessuologica.

Le problematiche della sfera sessuale sottendono sempre, aspetti disfunzionali sia di origine individuale e/o della vita di relazione e/o della vita affettiva di coppia.

La psicoterapia dei disturbi sessuali e delle problematiche relative alla vita sessuale ha come scopo non solo la scomparsa della disfunzione sessuale, ma anche il mantenimento del benessere psicosessuale raggiunto.

Tra le principali competenze del sessuologo clinico la Terapia Sessuale (o Sex Therapy) rappresenta un approccio terapeutico e di coaching per il superamento delle disfunzioni sessuali basato sui principi della Psicoterapia Cognitivo – Comportamentale sviluppati dalla moderna sessuologia nella direzione di una progressiva emancipazione da interferenze come l’ansia da prestazione e altri condizionamenti negativi a favore di un incremento dell’intimità, della comunicazione corporea e della complicità sessuale della coppia.

Un presupposto cardine nello sviluppo dei moderni approcci terapeutici in sessuologia è infatti l’evidenza di come la maggior parte delle difficoltà sessuali siano causate dall’ansia da prestazione e fenomeni ad essa correlati e di come l’intervento terapeutico diretto su tali processi cognitivo-emozionali consenta una solida risoluzione del problema.

Il sessuologo opera spesso in un lavoro di equipe con gli specialisti medici di riferimento quando esiste una problematica sessuale di natura organica alla quale concorrono fattori psicologici che ne aumentano l’incidenza e la gravità della manifestazione.

Anche nelle disfunzioni sessuali di natura psicologica temporaneamente trattate attraverso supporto farmacologico è fondamentale una concomitante consulenza sessuologica che consenta un lavoro alla radice del problema ed una rapida emancipazione dal farmaco evitando il frequente fenomeno della dipendenza psicologica dall’ausilio chimico e il protrarsi nel tempo di una condizione disfunzionale così compensata.

A differenza della psicoterapia dei disturbi sessuali, invece, la consulenza sessuologica si pone come intervento breve, generalmente di poche sedute, ed ha l’obiettivo di chiarire al richiedente elementi che possano fargli vivere meglio la propria sessualità.

La consulenza sessuologica può riguardare temi legati allo sviluppo sessuale dell’età evolutiva, ai rapporti interpersonali in genere, ai problemi della sessualità procreativa o di quella degli anziani, ai problemi di identità sessuale, ai problemi legati all’orientamento sessuale, alla gravidanza, alla sessualità e disabilità, ai metodi contraccettivi, alle malattie sessualmente trasmesse, ecc.

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